Se possiedi dei Bitcoin o altre criptovalute, ti sarai chiestǝ se e come questi strumenti devono essere inclusi nella tua dichiarazione dei redditi, e se devi pagare delle tasse.
Alcuni anni fa la bolla dei Bitcoin aveva riempito per settimane le notizie di tutti i media, tradizionali e digitali. Anche se le speranze di arricchirsi con le criptovalute si sono un po’ spente, molti possiedono ancora portafogli di Bitcoin o altre criptovalute, utilizzate come mezzi di pagamento o come investimento alternativo.
Nonostante il crescente interesse, il mondo delle valute virtuali è rimasto a lungo in un limbo dal punto di fiscale. La ragione è molto semplice: la normativa fiscale è stata scritta prima che gli strumenti finanziari digitali prendessero piede, e questi non vengono quindi citati espressamente in nessuna legge.
La cessione di criptovalute
Il primo chiarimento ufficiale è arrivato nel 2016, con la Risoluzione n. 72 del 2/9/2016. In questo documento, l’Agenzia delle Entrate si è infatti espressa sul tema delle criptovalute, sulla base di una analisi del loro ruolo nella normativa generale, sia nazionale che europea.
L’Agenzia delle Entrate ha quindi concluso di ritenere, in assenza di una previsione di legge specifica, che, dal punto di vista fiscale, le criptovalute virtuali devono subire lo stesso trattamento delle valute estere, sebbene non siano riferibili ad alcun “territorio estero” specifico.
Di conseguenza, le criptovalute producono un reddito che deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi quando si verificano contemporaneamente due condizioni:
- Si fa una cessione di valuta: ovvero la criptovaluta viene utilizzata per effettuare acquisti oppure viene scambiata con un’altra valuta (tradizionale o anch’essa virtuale).
- La giacenza dei portafogli di valute supera un importo equivalente a 51.645,69 Euro per almeno 7 giorni lavorativi consecutivi. Questo importo (la norma parla ancora di 1 milione di lire) è infatti considerato dalla legge il confine fra operazioni in valuta speculative e non speculative. Sono quindi esenti da tassazione tutti i soggetti che detengono somme in valuta inferiori a questo importo. Attenzione però: occorre sommare le giacenze di tutte le valute (tradizionali o virtuali) detenute tramite qualsiasi canale.
In presenza di queste due condizioni, le cessioni di valuta virtuale producono redditi (classificati fra i cosiddetti “redditi diversi), ovvero plusvalenze o minusvalenze, a seconda che la differenza fra prezzo di vendita e prezzo di acquisto sia positiva o negativa.
Tali redditi devono essere indicati nel quadro RT della dichiarazione dei redditi e:
- se positivi scontano un’imposta sostitutiva del 26%
- se negativi possono essere portati in diminuzione degli eventuali redditi positivi dei successivi 5 anni, realizzati su criptovalute o altri strumenti finanziari
L’indicazione delle criptovalute nel quadro RW
Oltre alla tassazione delle plusvalenze, un altro aspetto fiscale rilevante è quello relativo al monitoraggio fiscale, ovvero l’indicazione delle criptovalute possedute nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.
L’agenzia delle Entrate ha infatti chiarito (con l’Interpello n. 956-39/2018) che le valute virtuali sono soggette all’obbligo di monitoraggio fiscale quali attività detenute all’estero.
Occorre quindi indicare nel quadro RW il controvalore in Euro di tutti i wallet detenuti, sulla base del cambio indicato nel proprio portale di riferimento.
Inoltre, le istruzioni relative alla compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi riportano esplicitamente quest’obbligo.
L’Agenzia delle Entrate ha comunque chiarito che le criptovalute non sono soggette all’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie detenute all’Estero).
La compilazione del quadro RW è quindi di fatto un adempimento gratuito. Tuttavia, come per qualsiasi attività detenuta all’estero, se non la si indica nella dichiarazione dei redditi si incorre in una sanzione proporzionata al valore delle attività estere non dichiarate.